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 I dissidi sulla pietra verde 
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Salve a tutti,
bensentiti carissimi,
permettetemi un piccolo OT prima di iniziare:
Le cose si risolvono discutendone, parlandone, proponendo, consultandosi, chiedendo soluzioni, analizzando situazioni e comportamenti e non scappando per rifugiarsi dietro un'altra porta che qualcuno aveva lasciato abbandonata, per lunghissimo tempo, chiudendosi a riccio.

il giorno 22/10/2011, 18:10 io, creando un nuovo tread, qui: viewtopic.php?f=30&t=953 scrivevo:
raff ha scritto:
.......................
.........................
1 o 2 immanicature composite legno corno per asce in serpentino ( nome più adatto a definire quella che altri chiamano impropriamente pietra verde, potendo chiamarsi pietra verde anche la malachite che, al contrario del serpentino, non è atta alla costruzione di asce per la sua scarsa durezza).

Volutamente non riporto interventi anomali e non attinenti alla pietra verde.
Il 29/10/2011, 8:59 Maon rispondeva:
maon ha scritto:
Per quanto attiene ciò che il Sig. raff ha scritto sulla Pietra verde mi preme precisare che da molti secoli in Piemonte vengono indicate per Pietra Verde le eclogiti, le onfacititi o addirittura le giadeiti.
Queste si trovano, in Europa solo sul Monte Viso e In Liguria sul Monte Bego.

Essendo vietato citare gli studi fatti da altri siti, non posso rimandarvi ad essi e alle documentazioni inerenti.
Tanto vi dovevo.
Marco Onnis


lo 01/11/2011, 0:30 io rispondevo
raff ha scritto:
Salve a tutti,
.......................
.......................
Per Maon: mi faccio carico di risponderti prossimamente, su tread apposito, in modo adeguato.
Raff


lo 01/11/2011, 2:24 Mastrofoco aggiungeva:
mastrofoco ha scritto:
raff ha scritto:
1 o 2 immanicature composite legno corno per asce in serpentino ( nome più adatto a definire quella che altri chiamano impropriamente pietra verde, potendo chiamarsi pietra verde anche la malachite che, al contrario del serpentino, non è atta alla costruzione di asce per la sua scarsa durezza).

ciao raff perdona l'appunto,pietra verde è il nome riconosciuto in archeologia per definire eclogiti,onfaciti e giadeiti non è improprio anzi semmai può essere chiamato gergo ma utilizzato e non poco nell'ambito archeologico,poi si entra sullo specifico se definisce quale pietra è e poi la provenienza se piemontese,ligure o pavese(le più usate dalle nostre parti anche per scambi).

http://www.arch.unipi.it/AIAr2006/Prese ... 'Amico.pdf
ho trovato in rete questa pagina su un congresso tenuto a pisa da 2 "abilitati"referenti e viene definita all'inizio proprio PIETRA VERDE) oltre che spero possa esserti/vi utile
un abbraccio Luca


Primo: un grazie a Mastrofoco che ha portato, a sostegno una fonte, un riferimento su cui basarsi, editata da persone autorevoli.
Secondo: io ho parlato in senso generale, senza nessun richiamo al Piemonte e/o a qualche persona specifica; siete voi due che, mi sembra, travisando o interpretando male le mie parole, gli avete attribuito un senso a vostro piacimento. Una più attenta lettura vi avrebbe fatto comprendere che non vi erano i presupposti che avete inteso voi.

Tornando a noi, vi ringrazio per la vostre precisazione.... ma, perché c'è un ma, non la ritengo esatta.
E' vero, ed è attestato dai ritrovamenti ed analisi petrografiche che le pietre verdi venissero anche prelevate nel Piemonte occidentale ed in Liguria centro ovest, (come vedi non cito solo il Mon Viso e non solo il Monte Bego, (che non è in Italia ma in Francia ma forse volevi dire Beigua. Ma il fatto che il Monte Bego si trovi in Francia smentisce l'univocità delle fonti attribuite al Piemonte riferito all'ambito europeo) ma cito zone allargate e confermo che venivano esportate anche verso il nord, al di là delle Alpi. Sarei uno sciocco a sostenere il contrario di risultati di studi , lampanti e provati; ma occorre tener presente che quelle pietre che voi chiamate “le eclogiti, le onfacititi o addirittura le giadeiti”, sono accomunate anche da gabbri, serpentiniti, ofioliti ed altre, non sono un'esclusiva del Piemonte: si trovano anche in altre zone d'Italia ed anche oltr'alpe. Si identificano, anche, col nome volgare di serpentini, termine col quale viene indicata, generalizzando ma non sempre, la matrice litica delle asce in pietra levigata all'atto del ritrovamento. Fanno parte del gruppo che identifica le rocce metamorfiche.
Allegato:
rocce metamorfiche.jpg

Notare, sulla cartina la disposizione delle rocce metamorfiche sul territorio italiano:MATAMOPHIC ROCKS.
E' facile imbattersi in musei che espongono asce la cui analisi petrografica le ha identificate come serpentino ed allora cosa facciamo neghiamo la possibilità che i nostri progenitori ottenevano asce in serpentino?
Contunua.....
raff


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01/11/2011, 23:03
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Salve a tutti,
proseguo scusandomi degli errori: le rocce si chiamano METAMORPHIX ROCKS.

Allegato:
monte bego.jpg

come si vede il monte Bego è ben al di fuori dei confini italiani; la linea gialla rappresenta il confine di stato Italia-Francia-
Allegato:
monte beigua.jpg

Questa è la posizione del monte Beigua, in provincia di Savona.

Iniziamo con una carrellata di località dove si possono trovare le pietre verdi: il nome citato indica la zona della loro presenza.
Scusate, non sono in ordine alfabetico.

Toscana: Certaldo, Querceta, Volterra, Pistoia
Lombardia: sul monte Bernina, nella zona di Bormio, Breno.
Lombardia-Trentino Alto Adige: Cevedale.
Calabria: Castrovillari, Cosenza.
Sardegna: Ozieri ed un'isoletta fra Corsica e Sardegna.
In Corsica è attestata ma non conosco l'ubicazione certa.
Emilia Romagna: Castelnuovo nè Monti, Vergato.
Friuli Venezia Giulia, Istria ed oltreconfine.
Ricordo anche la zona montagnosa, tra Parma, Piacenza, e la Spezia, i cui fiumi e ruscelli sono ricchi di serpentiniti in ciottoli, a parte l'Enza.
Nella zona tra il Mella ed il Chiese è molto facile trovare ciottoli vaganti di serpentino nei terreni argillosi.
Come anche nella zona del Lodigiano-Piacentino-Tortonese, ma anche nella zona di Treviglio, vicino a Bergamo. Ma questo riguarda quasi tutte le zone che sono attraversate dai fiumi alpini.
Le mie fonti? Semplice, potrei rispondervi come affermato da altri, ma dico solo questo: I soldi li ho spesi io.
Ma tenete presente che ci sono e sono anche a vostra disposizione.... e non solo da adesso ma dalla fine del 1800, basta cercarle e pagarle.
Come vedete ho omesso sia il Piemonte, sia la Liguria e la val d'Aosta dove la loro presenta è accertata e vantata.
Continua
Raff


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01/11/2011, 23:42
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Località: Roccabruna-Marchesato di Saluzzo
Se mi si tira per i capelli allora, vorrei risponderle in questa maniera.
Non sono uso fare troppo copia e incolla come mi pare faccia Lei!
Io mi sarò pur chiuso a riccio, ma così Le ho dato l'opportunità di esprimere tutto il suo grande bagaglio culturale!
Tant'è che da quando non ci sono più un paio di persone Lei imperversa!
Non ne è contento?
Si accontenti di ciò e si tenga la sua vasta cultura, acclarata dagli scritti che, sono convinto, siano frutto della sua portentosa esperienza sul campo.

Mi scusi se io umile ignorante ho osato contraddirLa!

Con divozione
Maon


02/11/2011, 13:59
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Località: Roccabruna-Marchesato di Saluzzo
Tanto per la precisione,

copio e incollo:

Se andate all'articolo, è tradotto, quindi non avrete diffficoltà a leggerlo tutto

An International Journal of
MINERALOGY, CRYSTALLOGRAPHY, GEOCHEMISTRY,
ORE DEPOSITS, PETROLOGY, VOLCANOLOGY
and applied topics on Environment, Archaeometry and Cultural Heritage



Eclogites, jades and other HP-metaophiolites employed for prehistoric
polished stone implements in Italy and Europe

CLAUDIO D’AMICO1*, ELISABETTA STARNINI2, GIORGIO GASPAROTTO1 and MASSIMO GHEDINI3
1 Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Bologna, P.za Porta S. Donato, 1, 40126 Bologna, Italy
2 Dipartimento di Archeologia e Filologia Classica, Università di Genova, C.so Europa, 26, 16132 Genova, Italy
3 GeaDue, v.le Oriani 9, 40137 Bologna, Italy


Omissis……………………………………..
Eclogiti alpine, giade (Na-pirosseniti), e minori
HP-metaofioliti dominano la litologia della pietra
levigata dell’Italia del Nord, essendo almeno il 70%
e spesso superando il 90% dei materiali in pietra nei
singoli siti. Dati petrografici, geochimici,
minerochimici e tessiturali sono presentati e discussi
con qualche dettaglio. Qualche nuova definizione è
stata introdotta.
La provenienza della materia prima è identificata
con il NW Italiano, essenzialmente Liguria e
Piemonte. Queste regioni rappresentano una delle
poche aree geologiche al mondo dove affiorano
eclogiti alpine e giade, sia come masse geologiche
primarie nella Alte Alpi, sia come depositi morenici
ed alluvionali lungo le valli, sia come conglomerati
oligocenici nell’Appennino di NW.
La dominanza di eclogiti e giade nella pietra
levigata preistorica rappresenta una selezione litica
di significato culturale. Tale selezione sembra
giustificata da ragioni litotecnologiche (la migliore
associazione di durezza, tenacità e peso specifico) ed
estetiche (bel colore verde, tranlucidità), che
provocarono l’esclusione d’uso di altre litologie, che
pure sono comuni in altre aree.
La rimarchevole presenza di giade ed eclogiti
alpine nella litologia di lame d’ascia nell’Europa
occidentale (spesso in forma di oggetti di status
symbol e asce cerimoniali) e, in minor misura,
centrale mette in evidenza una rilevante
esportazione su lunga distanza di materiali HPmetaofiolitici
dall’Italia di NW verso la Francia, la
Germania, Il Benelux, la Gran Bretagna ecc. fino a
1000-1500 km dalle aree di provenienza. La
conoscenza petrografica non ancora sistematica delle
lame d’ascia modellate in HP-metaofioliti in Europa,
come pure nella penisola italiana, permette per ora
solo un confronto preliminare con i meglio
conosciuti manufatti nord-italiani.
Omissis....................



Copio e incollo:

ROBERTO GIUSTETTO: LAMPI DI STORIA ANTICA DALLE PIETRE VERDI ALPINE.
Mercoledì 11 Agosto 2004 00:00 |
Studio su 300 manufatti litici dell’alessandrino in mostra a Brignano Frascata.
Verso la fine del VI-V millennio a.C. l’uomo, fino ad allora nomade e cacciatore, cominciò a insediarsi stabilmente in aree pianeggianti e fertili, dedicandosi ad attività stanziali cole l’agricoltura e la pastorizia. L’evento, chiamato “rivoluzione neolitica”, fu una tappa fondamentale per la civiltà umana e comportò, dal punto di vista tecnologico, un rapido sviluppo dell’industria ceramica e litica. Quest’ultima, in particolare, vide il passaggio dalla pietra scheggiata (selce o ossidiana) alla pietra levigata, più consona alle sopravvenute esigenze di deforestazione e lavorazione della terra e del legno. Nuove tecniche di scheggiatura, bocciardatura (prolungata martellatura della superficie con un percussore) e levigatura furono adottate per la lavorazione di utensili, principalmente asce e scalpelli, ma anche oggetti ornamentali, quali collane e anelloni.
Nei numerosi insediamenti neolitici della nostra penisola, i materiali litici utilizzati variarono in relazione alle disponibilità offerte dalla geologia regionale. Nel Mezzogiorno e nel Nord-Est furono utilizzate rocce a grama fine di origine vulcanica (prevalentemente basalti ed andesiti), mentre nella pianura padana a ridosso delle Alpi Occidentali i nostri antenati disposero di “materia prima” tecnologicamente superiore: le pietre verdi alpine.
Sono rocce molto compatte, ad elevata densità e tenacità, dal caratteristico colore verde più o meno carico. Dal punto di vista geologico comprendono una ristretta varietà di litotipi, quali le “giade” (giadeititi ed onfacititi), le eclogiti (rocce ad onfacite e granato) e le serpentiniti. L’abbondanza di giade portò i primi archeologi a ipotizzare una provenienza esotica: analoghi materiali erano noti nella cultura Maya e in quella cinese, ma sconosciuti nel contesto geologico regionale europeo. L’origine alpina di queste rocce fu supposta verso la fine del 1800 da Bartolomeo Gastaldi, famoso pioniere della preistoria italiana, e confermata agli albori del 1900 dal celebre geologo Secondo Franchi.
Lo studio sistematico dei manufatti preistorici in pietra verde alpina costituisce l’oggetto di un progetto di ricerca svolto in collaborazione tra il Dipartimento di Scienze Mineralogiche e Metrologiche dell’Università degli Studi di Torino e la Soprintendenza Archeologica del Piemonte. La caratterizzazione di oltre 300 manufatti litici rinvenuti in diversi siti neolitici dell’alessandrino costituisce il tema portante di una mostra, organizzata col il patrocinio della Provincia di Alessandria. Il ricorso alle più moderne metodologie archeometriche, che abbinano tecniche archeologiche e minero-petrografiche, ha confermato che questi reperti derivano da rocce della Zona Piemontese, nelle Alpi Occidentali, un tempo affioranti sul fondo della Tetide, l’antico oceano formatosi circa 200 milioni di anni fa che divideva il continente africano dalle terre europee già emerse. Queste rocce, note ai geologi come ofioliti, sono caratterizzate da metamorfismo di alta pressione in facies eclogitica. L’analisi dei manufatti neolitici ritrovati in siti dell’Europa centro-meridionale ha dimostrato che il numero delle rocce sicuramente riferibili alla Zona Piemontese diminuisce man mano che ci si allontana dalle Alpi Occidentali.
Studi petrografici comparativi tra i reperti archeologici ed analoghi campioni geologici hanno evidenziato una serie di differenze minori ma significative. Queste potrebbero rivelarsi di fondamentale importanza per consentire la localizzazione ancora più precisa dell’area di provenienza dei manufatti, attualmente ostacolata dalla carenza di informazioni geologico-petrografiche su analoghi materiali in giacitura primaria.
Gli affioramenti di pietre verdi alpine sono molto rari, distribuiti in modo imprevedibile e particolarmente difficili da individuare senza una ricerca mirata di dettaglio. Fino ad oggi sono stati segnalati pochi giacimenti primari di eclogiti a grama fine nel massiccio del Monviso e uno solo di giada. Opinione diffusa tra gli archeologi è che i nostri progenitori raccogliessero queste rocce in prossimità dei corsi d’acqua, selezionandoli tra i ciottoli fluviali dei conglomerati oligocenici e quaternari derivati dallo smantellamento degli affioramenti in giacitura primaria. Il processo erosivo ed il trasporto – glaciale o fluviale – provocano infatti una selezione ed arricchimento delle rocce più resistenti e meno alterabili, quali appunto giade ed eclogiti. Ciò spiegherebbe l’abbondanza di questi litotipi nei reperti neolitici e l’attuale scarsità di rocce similari negli affioramenti primari.
La localizzazione delle aree di provenienza dei reperti – e quindi l’individuazione certa delle fondi di approvvigionamento – permetterà agli archeologi di ricostruire anche i principali spostamenti delle civiltà preistoriche dell’Europa meridionale e centrale. In virtù del loro significato simbolico, questi manufatti venivano spesso utilizzati come merce di scambio: asce neolitiche in pietra verde sono state ritrovate in tutta l’Europa centrale e addirittura in Gran Bretagna.
Articoli correlati:
Brignano Frascata (Al): Alla conquista dell'appennino
http://www.archeomedia.net/panel/mostre ... 0&choice=2
Brignano Frascata (Al): Alla conquista dell'Appennino. Le prime comunità delle valli Curone, Grue e Ossona
http://www.archeomedia.net/panel/mostre ... 4&choice=2

Buonasera
Maon
P.s.
Avendo già detto che non avrei più frequentato, non potrò più rispondere su questo forum, per coerenza.
Sapendo ove trovarmi potrete contattarmi comunque.


02/11/2011, 19:36
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Salve a tutti,
riprendo a tediarvi.
Ma, accertata la presenza dei materiali idonei all'ottenimento di attrezzi in pietra levigata, è accertata la lavorazione in loco?
Questa è una domanda difficile: alcuni affermano che sul Mon Viso, in val d'Aosta e sull'appennino tosco romagnolo vi siano i resti delle “cave” neolitiche, ma la “riservatezza” delle soprintendenze regionali mal si concilia con la ricerca.
Si può aggirare cercando nelle relazioni sui siti archeologici.

Qui: Favella. Un villaggio neolitico nella Sibaritide. 2009, pp. 391-403.
http://www.pigorini.beniculturali.it/Mu ... vigata.pdf
riporto:
…......Per quanto riguarda la prima fase, non è attualmente attestato
a Favella della Corte l’approvvigionamento di materiale alloctono,
mentre è ben documentata la presenza di litotipi locali.
La seconda fase, quella della sbozzatura dei blocchi tramite
scheggiatura e quindi rimessa in forma con bocciardatura o
martellinatura, è documentata a Favella in particolare da due
reperti: Favella 864/1 (tav. I, 6) e Favella 293. ….............
.
In questo sito si è messa in luce un'officina atta alla lavorazione della pietra levigata, la materia prima è presente, disponibile in zona anche in ciottoli ,ma non si è trovata ancora una cava con segni di asportazione dei materiali.

Qui si parla della zona dell'Istria: http://www.openstarts.units.it/dspace/handle/10077/3127
….....serpentiniti, diffuse soprattutto nella parte settentrionale del Caput Adriae;...... (Istria per chi non lo sapesse.)
…...2) le serpentiniti impiegate per la produzione delle asce forate trovano strette affinità in alcuni affioramenti degli Alti Tauri in Austria centrale; …..
Per la correttezza dell'informazione si afferma che sono presenti anche asce provenienti dalle Alpi ocidentali.

Anche qui, basta leggere:
http://www.altemontagne.it/Archeologia_ ... perti.html
L’ascia in pietra verde di Fiè allo Sciliar
Nel Neolitico inizia la fabbricazione di utensili da lavoro in pietra levigata, in particolare le asce, indispensabili per il disboscamento forestale, la lavorazione del legno e l’aratura dei terreni agricoli.
Sono realizzate utilizzando vari tipi di pietra, per lo più di colore verde, come il caso della serpentinite, una pietra locale, presente negli strati geologici delle Alpi, tra il Brennero, la Val di Vizze e la Valle Aurina, e reperibile sotto forma di ciottoli lungo i fiumi Adige, Isarco e Rienza....
....

Qui: http://www.lombardiabeniculturali.it/re ... lassi/248/
si possono vedere 7 reperti in pietra levigata identificata, (cliccando sui disegni si apre una pre-scheda) ma solo l'ultimo è in eclogite, pietra citata nel post di precisazione in risposta al mio iniziale come univoche del Piemonte, infatti i rubini da collezione si ritrovano vicino a Cuneo....ma anche in una zona dell'alta Lombardia. Stessa tipologia di rocce.
Adesso esaminiamo le fonti e le officine di lavorazioni nell'Italia nord occidentale; nuovamente un grazie a Mastrofoco per la segnalazione ma, io, non potevo di certo ignorarlo visto che alla sua stesura ha partecipato una archeologa di mia personale conoscenza.
Dalla sua lettura deduco che per quasi tutto il nord Italia, la regione Liguria ed il Piemonte siano stati i principali fornitori di materia prima, in particolare di ciottolame; i siti specializzati nella sua lavorazione non erano necessariamente sulle montagne ma dove era più disponibile la materia prima: in zone alluvionali o pianeggianti.
Occorre tener presente che le nevi perenni, 7000-8000 anni fa erano molto più estese di adesso arrivando a ricoprire tutto ciò che era al di sopra di una quota ipotetica di 1500-1800 mt.
Appare anche chiaro, che il 30% circa, non è di origine strettamente occidentale ma locale rispetto all'officina di lavorazione.
Non mi risulta che siano stati eseguiti studi su pietra levigata in toscana atti ad accertarne la provenienza.
Aggiungo una cosa che forse qualcuno non sa: molti affermano che i nostri progenitori usassero solo asce in pietra verde levigata di durezza elevata, grado 7 della scala di Mhos (giadeite); io ho avuto la fortuna ed il piacere di ritrovarne un'ascia intera (1994)ed il frammento di un'altra (1991; in ambedue il metallo della cazzuolina, in acciao forgiato, che usiamo per scavare le rigava. Deduzione logica: il loro grado di durezza era inferiore all'acciaio che notoriamente ha una durezza di grado 5 della scala di Mhos, ma nonostante questo erano state modellate ed usate. Intendiamoci per modellare un tronchettino di legno o per eseguire sedi in un tronco non serve aver una durezza di grado 7 visto che il legno ha un grado di durezza paragonabile a 1,5 se è possibile applicare al legno la scala di Mhos. La selce ha un grado di durezza pari a 7.
Per'altro, ad essere pignoli, il grado di durezza del rame o del bronzo, anche se forgiato, è inferiore al grado 5. Eppure è stato usato per lame ed asce.
continua....
Raff


02/11/2011, 19:45
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Mi sa tanto che la pietra verde e similari abbiano basi ben più salde, anche perche il sistema della levigatura non parte da noi...


http://gaianews.it/cultura-e-societa/pr ... ia/id=4354


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03/11/2011, 9:38
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Salve a tutti,
continuo dal precedente mio post.
Cosa impediva alle popolazioni di acquisire solo la pietra levigata occidentale?
Non si sa con precisione. Alcuni ipotizzano che le asce in piemontesi in geodite, di elevata durezza (intorno al grado 7) lucide, belle da vedersi, dal costo non certo alla pari di un'ascia in serpentino, fossero appannaggio di capi, sacerdoti, gente che già allora contava e poteva permettersi un prezzo altissimo; forse hanno ragione visto che i commerci erano già attestati da tempo. Ma, c'è anche un altro dubbio: la materia è quella dell'occidente d'Italia ma dove erano di preciso le officine di produzione di asce destinate oltre le Alpi? Sì perché una produzione così specifica avrebbe lasciato traccia nei siti di lavorazione trovati fin'ora, visto che quelli finora scoperti rifornivano il centro e l'est dell'Italia. Le ipotesi possono essere due: o veniva commerciata la materia prima ancora da lavorare o c'è da scoprire altri siti di lavorazione che non potevano essere in montagna dove le sabbie fini quarzose e l'acqua sono scarse; devono essere per forza di cosa ubicate in fondovalle.
Ma è inutile invocare il fatto che le popolazioni dell'Italia occidentale di allora detenessero, segretamente, il metodo della molitura della dura giadeite: i popoli d'oltralpe erano in grado di levigare la selce, anch'essa dura al pari della giadeite ottenendo anch'essi dei capolavori; la tecnologia è la stessa, non era un segreto di pochi come confermano i reperti litici autoctoni presenti e ben attestati nell'uso da quelle popolazioni. Bastava un po' di sabbia quarzosa, un piano di arenaria o di altra pietra quarzosa, un po' di acqua e tanta abilità manuale. Tutte le materie prime, necessarie alla lavorazione, sono comunissime nei fiumi o torrenti molto meno nei ruscelli di montagna.
Foto di asce in selce levigata, da un museo d'oltralpe...
Allegato:
asce e scallpelli in selce levigata.jpg

Allegato:
asce in selce levigate.jpg

Le asce ottenute si prestano abbastanza bene per il taglio o lavorazione del legno ma bisogna considerare alcune cosette:
sia quelle ottenute da “pietre verdi,” sia quelle ottenute in selce si prestano ad operare su legni, ossa, corna di animali, ma occorre precisare che su nodi o tagli non ortogonali alle fibre si può rompere facilmente il filo per l'ovvio motivo che ambedue non resistono a sforzi laterali o di flessione, resistono solo a colpi esercitati tangenzialmente alle fibre producendo segatura al posto delle scaglie che si ottengono impiegando asce o accette in metallo. I nodi hanno fibre dure e “avvolte”, la sezione d'ascia del taglio (filo) viene sollecitata anche alla flessione e si rompe o come dicono impropriamente si scheggia.
Qui un filmato sul taglio di un tronco e riparazione del filo dell'ascia che si è rotto.
http://www.youtube.com/watch?v=vXKhKF3u ... 8B27503156
Questo non significa che non potevano essere adoperate per sagomare un arco, un aratro, un incastro per le travi delle capanne, una pala. In special modo essa si prestava alla modellazione di sezioni piccole e tenere dovute al fatto che il legno usato era verde. Le adoperavano anche per le guerricciole che inevitabilmente già sorgevano per difendere le proprietà agricole nascenti, sfondando crani e toraci degli avversari.

Divago dal tema...
Gli oggetti citati sopra non erano i soli strumenti quotidiani necessari. Vi erano anche le canoe,
le travi delle capanne, e forse anche statue totemiche: tutti alberi di grosse dimensioni da abbattere: tutte con l'ascia? No, impossibile!
Per costruire una canoa necessitava di un albero di grosse dimensioni: diciamo di circa 60-80 cm di diametro.
Qui, un esperimento di taglio di un tronco:
http://www.youtube.com/watch?v=nu2p_EbH-lw
Questi, lavorando in quattro con accette in pietra levigata hanno impiegato 32 h per abbattere una pianta di pino di 80 anni di età, avente 91 cm circa di diam (36 pollici) atta alla costruzione di una canoa neolitica. Al minuto 4.40 avete i dati sovra riportati.
Ma i nostri progenitori avevano poche risorse ma.... non erano scemi.
Continua.....
Raff


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04/11/2011, 14:06
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Continuo ad annoiarvi...
Cito da mio precedente messaggio: “........lavorando in quattro con accette in pietra levigata hanno impiegato 32 h per abbattere una pianta di pino di 80 anni di età, avente 91 cm circa di diam (36 pollici) atta alla costruzione di una canoa neolitica......” Va bene, mi direte voi, loro avevano tempo, erano più abili di noi all'uso di accette in pietra levigata.....

Ragioniamo: ipotizziamo una piccola comunità composta da 5 famiglie, a loro volta composte da 5 persone cadauno( la mortalità infantile era molto elevata) per un totale di 25 anime. Essa poteva mettere in campo circa 12-13 persone valide all'abbattimento di tronchi, tra maschi adulti e ragazzi. Lavorando 10 h al giorno abbattevano, diciamo 6 tronchi (diam 25-35 cm atti alla formazione delle travi per capanne) ogni due giorni, ma che poi dovevano pulire dalle ramaglie e troncarli alla lunghezza necessaria, abbattere la piante per i travetti minori ecc.. tempo totale ipotetico: 5 giorni per sei travi.
Di questo passo, se iniziavano i lavori in primavera, le capanne erano pronte solo per l'inverno ed io non ne condivido l'abbattimento con la sola scia in pietra levigata..
Ma, domanda infida: cosa mangiavano al contempo, se gli uomini validi erano tutti al lavoro per le capanne?
Qualcuno direbbe: se ne occupavano le donne, ragazze ed i bambini raccogliendo il frutti spontanei ed iniziando le coltivazioni, seminando; tutto giusto salvo il fatto che in primavera di frutti spontanei non ve ne sono e serve la carne per mantenere in forze i “boscaioli” che non poteva arrivare tutta dagli animali allevati..... i latte ed i formaggi arriveranno con l'età del rame e le riserve di semi (orzo, grano) sono in via di esaurimento; risultato non fattibile. Allora bisogna ridurre gli uomini validi addetti al taglio e mandarli a caccia: il lavoro rallenta....dimezzando gli uomini occorrevano 10 giorni per le classiche sei travi.

Lo stesso lavoro di abbattimento con risultati migliori, con minor impiego di manodopera, lo si può ottenere col fuoco controllato, arte in cui i popoli neolitici erano maestri, ma anche quelli dell'età del rame e successive, addirittura scavavano un tronco col fuoco per ottenere una canoa.
Per queste operazioni un adulto e tre ragazzi sono in grado di abbattere almeno una decina di alberi al giorno ed anche di sezionarli alla lunghezza voluta: basta alimentare in modo costante dei piccoli fuochi alla base degli alberi scelti:
http://www.youtube.com/watch?v=uBcgJlzsRQo
e la legna, anche secca, nei boschi non manca mai. In questo modo l'ascia assume un ruolo di secondaria importanza ma indispensabile alla lavorazione successiva dei tronchi: lo scortecciare, gli incastri, gli appoggi, ecc.
Ma, direte voi, i “villaggi”che non erano grandi ma gruppetti di capanne per piccole comunità, (siamo nel neolitico) non si costruivano tutti gli anni e le capanne potevano durare anche 20 anni. Giusto e senza entrare troppo nel merito si può affermare che è provato che essi disboscavano ogni tre quattro anni, nuove superfici per ottenere nuovi campi poiché non conoscendo l'uso della rotazione delle coltivazioni associata alla concimazione, era inevitabile che i terreni si impoverivano al punto di diventare improduttivi. Prova ne è il ritrovamento di piccoli insediamenti a pochissima distanza fra di loro, tre quattro km, in successione cronologica. Quando attorno al villaggio non vi erano più superfici utili e produttive essi dovevano forzosamente abbandonare l'area:
da: http://www.onde.net/desenzano/citta/mus ... /pan31.htm
riporto: La loro agricoltura era ciclica e itinerante : non conoscendo le tecniche per rinnovare la fertilità del suolo con la concimazione e la rotazione dei coltivi, la terra si esauriva rapidamente. Ecco perché i villaggi neolitici avevano una durata molto breve, non più di 8-15 anni.

Affermare che l'accetta di pietra servisse a disboscare è voler inculcare alla gente delle nozioni false; col fuoco, poche persone in pochi giorni, potevano arrivare a disboscare anche un ettaro di bosco ed allo stesso tempo ottenevano un terreno “concimato” atto alle culture, “diserbato” da cespugli, sterpi e rovi senza dar un colpo di accetta; la cenere, oltretutto, è un ottimo concime e rendeva più fertile il terreno. La lavorazione della terra veniva attuata con “zappe” in corno di cervo o di legno duro, ma anche bastoni in legno con la punta indurita dal fuoco. I campi di allora non erano paragonabili a quelli di adesso.
Se riesco a recuperare il link al documento che descrive lo scavo archeologico di un'area neolitica coltivata, ve lo posto.
Torniamo alla asce in pietra levigata.
Dalla loro forma si può risalire, anche, alla età storica di costruzione: forme affusolate e lunghe col codolo conico, sono attribuite al neolitico.
Allegato:
ascia neolitico antico piemonte.jpg

Forme appiattite, ovali, corte, in qualche modo somiglianti ad asce di rame col codolo largo e sprovvisto di cono sono da attribuirsi all'età del rame, o eneolitico. In questo periodo continua la produzione di pietra levigata poiché il metallo era appannaggio di pochi, ma la produzione cerca di emulare le forme delle asce in rame.
Allegato:
ascia neolitico tardo.jpg

Questo si verifica anche per le lame di pugnali in selce che anch'esse cercavano di emulare le forme corrispettive in rame.
Allegato:
daghe danesi.jpg


In ambedue i casi, però, mantengono il profilo del taglio con una rastremazione corta e non affilato a coltello per la semplice ragione che un profilo sottile del taglio avrebbe significato una vita breve per la stessa, i bordi si mantengono generalmente arrotondati e mai squadrati con bordo ad angolo retto. Gli spessori della parte centrale rimangono sempre sulla misura minima di circa 2 cm ad evitare che sotto lo sforzo dei colpi la pietra si fratturasse.
Aggiungo per dovere di cronaca: le asce in “pietra verde”avevano il grande vantaggio di resistere bene ai colpi di “punta”, ma la “rottura” del filo di taglio generava un bordo piatto o arrotondato per cui l'attrezzo non tagliava più;

quelle costruite in selce erano in qualche modo autoaffilanti: dal filo di taglio si staccavano sì schegge, ma la zona di distacco rimaneva tagliente.
Nascono anche le asce in pietra levigata con foro per immanicatura: le asce a martello antesignane di quella forma che, in metallo, le ha accompagnate con poche variazioni fino a noi.
Continua....
Raff


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06/11/2011, 15:02
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Iscritto il: 26/02/2011, 11:43
Messaggi: 2674
come si fa a datare un reperto in pietra?


06/11/2011, 16:45
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Iscritto il: 17/03/2011, 0:24
Messaggi: 2037
Località: tra l'oglio ed il chiese
Salve a tutti,
ciao Bac.
Notoriamente, su nessun tipo di pietra naturale è possibile effettuare analisi per determinarne l'età; in qualsiasi caso ci direbbe l'età della formazione della stessa e non quella della sua lavorazione. Ma ci sono tentativi in merito.
Per l'età di lavorazione ci si avvale dei riscontri stratigrafici, ovvero:
se ritrovata in una tomba si hanno a disposizione le ossa dell'individuo da sottoporre ad analisi del C14.
Se associata ad uno strato archeologico si valutano e si analizano i materiali contenuti negli strati: carboni e ceramiche, resti vegetali in genere.
Essi sono analizzabili e possono fornire datazioni: analisi della termoluminescenza per le ceramiche e del C14 per i resti vegetali.
Se trovata vagante, fuori da qualsiasi strato archeologico e o contesto, l'ascia, la statuetta, lo strumento litico, lo si data tramite un'analisi stilistica.
Raff


06/11/2011, 17:20
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