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 tirar d'arco storico o tirare storicamente con l'arco ? 
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Iscritto il: 27/07/2010, 9:00
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ciao Ligera, nessuno potrà dirti con certezza come tirasse Oetzi però si può riprodurre un arco simile al suo ed imparare ad usarlo. ci sono (o almeno c'erano fino a poco fa) delle popolazioni che utilizzano archi semplici di legno abbastanza simili per forma e libraggio a quello di Oetzi come ad esempio i Liangulu che in Africa cacciano elefanti. credo che il loro stile di tiro non sia molto diverso da quello di Oetzi o degli arcieri medievali e molti altri. noi ci stiamo lavorando col progetto di Vtr (MBA). credo che sia il modo più naturale ed istintivo per tirare con certi archi inoltre si fa molta meno fatica e chiunque può arrivare ad utilizzare archi di libraggi sufficientemente alti. delle gare poi io non ci baderei ... non è che se uno è bravo alle garette sarebbe anche bravo in situazioni "reali". tra l'altro se non sbaglio anche Ishi pare non fosse molto bravo a tirare ai bersagli mentre bravissimo a caccia (mi sembra di averlo letto o sentito).
ciao


14/09/2016, 18:14
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Si be sulle garette, lasciamo perdere. Sul libraggio dell'arco di "Ossi", quanto faceva? Si sto seguendo il vostro progetto ma non ho capito come fate a mirare...
Poi mi chiedevo quale stile adottare per tirare almeno sul paglione. O almeno il piu vicino allo stile preistorico, perchè cercando qua e la sulla rete nozioni sul tiro istintivo mi son fatto molto più casotto.


14/09/2016, 20:10
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Dai un'occhiata a qualche foto di Ishi o a un arciere mongolo che tira da cavallo.
Non scherzavo quando dicevo che questa gente usa l'arco come una tigre fa con gli artigli.
Aprono l'arco, lasciano andare la freccia.
Essa è così lontana dagli occhi che parlare di prendere la mira è un parolone.
Mirano come un calciatore o un giocatore di pallacanestro.


14/09/2016, 20:28
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(Questa bambina che vedi qui di fianco aveva tre o quattro anni e faceva sempre scoppiare il palloncino).


14/09/2016, 20:38
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ISHI, IL SUO ARCO, LA CACCIA
da: ISHI UN UOMO TRA DUE MONDI, La storia dell’ultimo indiano Yahi, di Theodora Kroeber *, Jaka Book, 1985, pag. 168-169
E’ un libro pubblicato nel 1961 scritto dall’antropologa che ha conosciuto e studiato, per cinque anni Ishi, morto nel 1916. Ne riporto alcune pagine.

………….le armi, i gesti e le tecniche di caccia di Ishi non avevano nulla in comune con quelli del moderno cacciatore. Oggi l’uomo caccia per puro divertimento e non ha un vero bisogno della preda; più di questa gli interessa invece provare brevemente e intensamente la soddisfazione di uccidere. Ishi cacciava per vivere, utilizzava ogni parte dell’animale ucciso e viveva a stretto contatto con la fauna, di cui aveva una profonda conoscenza. La mitologia degli Indiani d’America vuole che gli uomini, prima di essere tali, siano stati degli animali; in questo senso riconosce una continuità biologica tra la vita animale e l’uomo e insieme impone un sistema di credenze che impedisce di prendere la vita senza rispettarla.
L’arco non è un’arma che si possa affidare al primo venuto, come è invece il caso dei suoi moderni sostituti, il fucile e la pistola, e anche l’arciere esperto conosce l’importanza della “tecnica” e l’incidenza che questa ha sui risultati. C'è stato un periodo nella storia in cui l’arco era l’arma della guerra e della caccia in tutti i continenti e le isole abitate, con l’eccezione dell’Australia e delle isole della Polinesia. Diversi sono stati i materiali impiegati nella sua costruzione, le sue forme, il modo di tenerlo e di scoccare la freccia, ma dovunque questa difficile arte è stata tenuta in massimo conto, onorata e ricompensata. Sempre e dovunque la fabbricazione e l’utilizzazione dell’arco sono state circondate da rituali e tabù che vanno al di là della tecnica e delle regole effettivamente necessarie.
Gli Yahi non facevano eccezione. Al museo, i nuovi amici di Ishi impararono da lui a lanciare la freccia, lo osservarono fabbricare archi e frecce e cacciarono con lui. Ishi era un cacciatore formidabile: cacciava sempre da vicino, adescava la preda attirandola progressivamente con una ingegnosità e una pazienza infinite. Fu come cacciatore che Ishi mostrò la sua abilità di artigiano e artista. Al museo, cadendo a sua volta preda dell’ansia di sperimentazione scientifica, fabbricò e mise alla prova archi fabbricati con diversi tipi di legno; tuttavia il suo vero arco da caccia era invariabilmente di ginepro di montagna. Sceglieva anzitutto l’albero e successivamente il ramo da cui ottenere un nuovo arco. Dopo questa scelta ben ponderata, il ramo veniva tagliato e sgrossato. Ancora ben lontano dall’essere finito, l’arco possedeva già un alto e un basso, e Ishi, posandolo, rispettava queste parti e proprietà diverse: l’alto era la parte del ramo che si era trovata più vicina al tronco, mentre il basso era il lato del ramo rivolto verso l’esterno (qui, secondo me, c’è più di un errore di traduzione n.d.r.)

SEGUE….

* Theodora Kroeber è la moglie del celebre antropologo statunitense Alfred, autore fra le altre opere del Manuale degli indiani di California (1925). Quando Ishi venne affidato ad Alfred Kroeber e a T. Waterman, del Museo di Antropologia dell’Università di California, ella si trovò a seguirne e conoscerne da vicino, attraverso il racconto del marito, la storia. Questo libro, per la cui stesura sono stati ampiamente utilizzati documenti e fonti in possesso dell’Università, assolve nelle intenzioni dell’autrice e dei membri del dipartimento di antropologia che l’incoraggiarono a sciverlo, al compito di fissare la memoria di una vita grande e tragica.


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14/09/2016, 20:55
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Bravo Hawkwood.
Come potete ben notare, nessuna federazione aveva ancora avuto modo di spiegargli qual era lo stile che utilizzavano per cacciare gli arcieri primitivi....

:lol: :lol: :lol:


14/09/2016, 21:54
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Iscritto il: 12/06/2016, 8:06
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Di sicuro, però, armava del basso!!!

:lol: :lol: :lol:


14/09/2016, 21:58
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eh eh, allora via con il tirare preistoricamente con l'arco...
Qui la faccenda si fa dura. Ma forse no. L'etnografia è una buona maestra, anche se lo studio delle relazioni intra-gruppo, delle tecnologie e dei modi di vita dei popoli primitivi di oggi dipende talmente tanto dal contesto che non si può mai dire nulla di certo...l'Attualismo (cercar di desumere "abiti" antichi osservando le popolazioni primitive di oggi) è pericoloso. Come cercar di spiegare il comportamento di un ominide di due milioni di anni fa osservando gli scimpanzé. Nulla di più fuorviante: gli scimpanzé, in due milioni di anni, si sono senz'altro evoluti anche loro. Certo è che se non fosse per il colore della pelle e degli indumenti (spesso assenti) i documenti fotografici a cui fa riferimento Magin sono incredibilmente simili alle miniature medievali, nella postura. E non sono gli unici.

Un altro sistema è lo studio dell'iconografia: ad esempio, avete presente le raffigurazioni rupestri della Spagna extra-cantabrica (per intenderci, non le famose grotte di Altamira e simili, con solo raffigurazioni animali e zoomorfe). In quella zona levantina centinaia di raffigurazioni estremamente comunicative rappresentano arcieri, in caccia e combattimento. Da lì è possibile desumere qualche informazione utile, qualche indizio... innanzi tutto spicca la dinamicità di questi arcieri, pochissimi in una posizione statica. Quei pochi "fermi" mostrano gambe flesse e schiena piegata in avanti. Poi l'allungo: tutti oltre la linea dell'orecchio, indipendentemente la freccia sia tesa all'occhio o al petto. Gli archi sono (sembrano) discretamente lunghi, la maggior parte ad unica curvatura, alcuni a doppia curva (B). Nel caso specifico di queste immagini si parla di 20000 - 8000 anni dal presente.

Il terzo aiuto avviene dallo studio dei reperti e delle tracce rinvenibili. Da questo si possono desumere alcune cose interessanti. Le punte di freccia rappresentano un vero rompicapo, nel senso che è difficile trovare delle relazioni univoche che legano l'arco, la freccia e il bersaglio. se ne potrebbe parlare per giorni, non avrebbe alcun senso generalizzare. Questo per via delle scarse testimonianze e soprattutto distribuite in cluster non omogenei per epoca/cultura o per geografia.


14/09/2016, 21:59
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ISHI, IL SUO ARCO, LA CACCIA
da: ISHI UN UOMO TRA DUE MONDI, La storia dell’ultimo indiano Yahi, di Theodora Kroeber *, Jaka Book, 1985, pag. 169-170
SECONDA PARTE

Ishi modellava l’arco a misura della persona che l’avrebbe usato: doveva esserci una certa proporzione tra l’altezza dell’arciere e la lunghezza dell’arma, e tra la grossezza della mano e lo spessore del legno. La lunghezza dell’arco doveva essere uguale alla distanza tra l’articolazione dell’anca destra e la punta del dito medio della mano sinistra, misurata con la persona in posizione eretta e con il braccio teso orizzontalmente in avanti. Nel caso di Ishi, questa distanza era di un metro e venticinque. Larghezza e spessore del legno dovevano essere maggiori ai due lati dell’impugnatura: la larghezza dell’arco era di quattro dita per armi potenti, e di tre dita per armi più leggere, destinate alla piccola selvaggina.
Assistere alla fabbricazione di un arco alla maniera di Ishi era fare un viaggio indietro nel tempo fino al neolitico, un neolitico però carico di toni yahi. Una volta sbozzato, il futuro arco veniva riposto a stagionare in un luogo dal calore e dall’umidità costanti. Per tutto questo tempo era mantenuto orizzontale. Appoggiato a terra, portato o in posizione di tiro, la priorità della parte alta dell’arco andava sempre rispettata, essendo la garanzia che la freccia avrebbe colpito il segno. Per la definitiva preparazione dell’arco si rendevano necessari tutti gli strumenti di Ishi, coltelli e raschietti di selce e di ossidiana. La pulitura definitiva si faceva con pietra arenaria. Gli archi di Ishi presentano una elegante linea curva alle estremità, di una tale simmetria che stupisce la semplicità del procedimento che permetteva di ottenerla; lavorava ciascuna estremità piegandola avanti e indietro sopra una pietra calda, finché il legno diventava cedevole; poi la premeva contro il ginocchio piegato, protetto con una pelle di cervo, e la teneva così premuta finché il legno tornava freddo. A questo punto la curva era definitiva.
Per rinforzare l’arco, Ishi si serviva dei lunghi tendini delle zampe posteriori del cervo: li sfilacciava, li macerava, li masticava in un processo lungo e faticoso. Quando i tendini erano diventati regolari e sottili come delle strisce di pergamena, li incollava sulla parte interna (forse esterna, n.d.r.) dell’arco, una striscia dopo l’altra, per aumentare la potenza e l’elasticità dell’arma. Quanto alla colla, la preparava facendo bollire della pelle di salmone. Per la corda dell’arco Ishi utilizzava i tendini più sottili delle zampe anteriori, che faceva passare tra i denti fino a quando acquistavano la sottigliezza di un filo di seta. Dalle fibre così ottenute fabbricava poi una corda.
Prima di ricevere la corda, l’arco veniva accuratamente lasciato seccare al sole per giorni e settimane, poi rifinito e levigato.
La corda veniva legata prima all’estremità alta dell’arco. Ecco come Pope descrisse la successiva operazione: “Seduto Ishi metteva l’estremità alta dell’arco dietro il tallone sinistro, la concavità dell’arco rivolta verso di lui; poggiava poi l’impugnatura contro il ginocchio destro e teneva nella mano sinistra la parte bassa dell’arco, ora rivolta all’insù. In questa posizione piagava l’arco e legava la corda all’estremità” (inferiore). Se l’esatto rapporto tra lunghezza, spessore e rinforzo era stato osservato, l’arma tesa al massimo descriveva un arco geometrico perfetto – l’ideale di Ishi – e sviluppava, quando al corda era tirata di sessanta centimetri, una spinta di venti chili.

SEGUE….


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14/09/2016, 22:05
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vtr è sempre molto convincente.
Perché pochi credo abbiano studiato la materia con tale passione e profondità.

Ma è possibile scegliere una via diversa, come abbiamo fatto noi.
Abbiamo volutamente ignorato (o quasi) tutto ciò.
Ci siamo invece messi a fare quelle cose, aggiustando il tiro (proprio il caso di dirlo) quando non funzionavano.
Caso vuole che le nostre conclusioni si sovrappongano in modo davvero impressionante con quelle oggetto di studio in questo topic. Davvero impressionante.
Vi assicuro che sono qui per questo topic.

Meglio o peggio viaggiare fuori o dentro l'arciere?
Non saprei dirvi.

Fuori si è più oggettivi, più scientifici, più analitici.
L'etnologia, la fisica, l'archeologia, l'iconografia.
Si tratta della storia dell'uomo e non può essere certo ignorata.

Dentro si è più soggettivi, la respirazione, le sensazioni, le emozioni, l'istinto e come tutto ciò si ribalta sul corpo quando esso è chiamato a funzionare bio meccanicamente in quel contesto.
Si è più analogici (...e anche meno capaci di spiegarsi).
Si cerca di unire, invece che scomporre.
Si apprende per imitazione e empatia, non per ragionamento.
...Alla fine, restano davvero ben poche certezze, se non che separare il corpo dalla mente è una sciocchezza.


14/09/2016, 23:15
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