Grandi federazioni, grandi problemi.
Non sarò io a giudicarne le scelte.
Il nostro stare fuori è proprio di chi desidera la libertà di azione ed è disposto a pagarne il prezzo.
Desidero però ricordare ciò che ho già scritto altrove: il tiro con l'arco tradizionale non è tale se non è legato alla tradizione.
E la tradizione ci parla di una pratica polidimensionale.
Volendo semplificare al massimo, esistono quattro schematiche dimensioni.
Il gioco, l'agonismo sportivo, la caccia-guerra e la dimensione religiosa.
Esistono pressoché da sempre, in ogni cultura arcieristica.
Variano talvolta i nomi, non i concetti fondamentali sottesi.
Vanno praticate in egual misura?
Affatto.
A ognuno la sua libera scelta.
Esiste tuttavia una sorta di percorso naturale, che dovrebbe essere ben chiara a chi si occupa di didattica.
Non si può negare che il bambino dovrebbe vivere principalmente nella prima, il giovane affrontare con più serietà la seconda, mentre la terza, che tocca gli archetipi di vita e morte, è meglio affrontarla da adulti e la quarta è più una dimensione che richiede di essere saggi e posati, come sanno essere solo le persone che hanno vissuto a lungo e vedono perciò la morte più prossima degli altri, avendo una predisposizione spirituale che è il frutto del percorso svolto.
L'arco, perciò, non accompagna solo l'uomo sviluppandosi nel suo percorso evolutivo di specie.
L'arco accompagna anche l'uomo nella sua vita individuale, fornendogli ciò di cui ha bisogno nel suo percorso quotidiano.
Chiaramente questi concetti sono variati nel Tempo. Un torneo non è un olimpiade è un giovane medievale non ha trent'anni come quello di oggi. Ma, mutatis mutandi, credo che anche oggi la tradizione tramandi spunti che anderebbero vagliati con attenzione. Oggi come allora, in fondo, il giovane di talento trova ancora posto nelle forze dell'ordine.
Stiamo ovviamente schematizzando. Le dimensioni possono davvero essere vissute tutte e contemporaneamente.
Ma, col passare degli anni e dell'esperienza, si finisce per cambiare il fuoco della propria pratica arcieristica.
Se non accade, c'è sempre dietro un motivo che l'istruttore non deve trascurare.
Perché può, può non deve, nascondere un problema.
Generalmente, il non aver avuto la possibilità e la fortuna di vivere naturalmente gli eventi secondo le stagioni della vita.
Ma attenzione, il corpo di un agonista fuori stagione non è naturalmente predisposto per subire il medesimo stress.
Chi insegna ne tenga ben conto.
Capite dunque che, se è vero che la dimensione sportiva è quella che traina maggiormente, è anche vero che la società non è fatta di soli giovani. Escludere il bimbo o l'amatore non (o non più) agonista può trasformarsi in un boomerang anche dal mero aspetto economico e sociale.
Faccio perciò fatica, Jeval, a comprendere questa scelta, se è quella di una federazione che desidera valorizzare gli aspetti tradizionali del tiro con l'arco.
Dov'è la tradizione? Nell'arco di legno?!?
...avrete notato che non ho parlato di una dimensione legata all'arco storico.
Ma di ciò parleremo in altra occasione.