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 Materiali per corde d'archi in antico 
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Iscritto il: 09/12/2010, 22:17
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nell'intervento precedente mi riferisco esclusivamente alla resistenza dei filati, sia alla resistenza "statica" delle fibre (per intenderci, ad arco incordato ma a riposo, durante la trazione della corda e a quella del massimo allungo) che alla resistenza dinamica (accelerazione della corda/freccia e stress che avviene al momento del distacco della cocca). Su questo non ci sono dubbi e i numeri parlano molto chiaro, con differenze di valori che vanno dal 20% al 50%, in funzione del grado di umidità.
Altro discorso è utilizzare la ceratura per proteggere le fibre della corda nei punti in cui esistono evidenti frizioni; ciò può salvaguardare la sua integrità.

L'inceratura, oltre che a isolare dall'ambiente e non permettere il naturale assorbimento di umidità da esso, se viene applicata per frizione (con la mano, come viene insegnato sui filati delle corde moderne) fa evaporare immediatamente l’umidità residua intrinseca.
Da un punto di vista della resistenza agli stress, cerare non serve a nulla, e fa solo aumentare il peso della corda.

Se proprio si vuole incerare, lo si deve fare con la corda in tensione (già montata sull'arco) e non soffregandola con intensità. Non lo si dovrebbe fare mai ai singoli trefoli prima di costruirla, oppure alla corda libera (non in tensione).

Per la questione allungamento - accorciamento, è un altro discorso. Le fibre naturali (comprese a maggior ragione quelle animali) non sono certo stabili. Poi è da chiarire se si parla di allungamento/accorciamento dovuto alla variazione di umidità staticamente determinato (carichi l’arco con la tua corda e ti rendi conto che essa è più lunga/corta di prima) oppure se ci si riferisce alle deformazioni dinamiche che la corda subisce allo shock finale (al distacco della cocca).

Nel primo caso, credo, tutti gli arcieri “primitivi” ne sono consci, e non c’è nulla da fare. In maggiore o minor misura è un fattore con il quale fare i conti, e ci si fa fronte con “giri di corda” per piccoli aggiustamenti o con il nodo mobile (ecco perché la corda “antica” ha quasi sempre un solo loop fisso).
Nel secondo caso (direttamente correlato al rendimento dinamico) invece, le minori “elongazioni” sono caratteristiche del materiale. In questo caso il lino, pur avendo un limite di rottura inferiore ad altre fibre vegetali tipo seta o canapa, è pressoché indeformabile (migliore del Dacron e paragonabile al Kevlar/Fast Flight), e qui sta il perché continua ad essere considerato come il filato “migliore”.
L’umidità irrobustisce la corda, anche se sarebbe opportuno trovare un compromesso tra il suo grado (percentuale) e il peso risultante (più è umida più ovviamente è pesante). Il raddoppio della massa della corda (dovuta facilmente all’inceratura o al grado di umidità prossima al 40%) diminuisce dal 5% all’8% la velocità della freccia.


28/01/2012, 11:24
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per quel che riguarda gli arcieri inglesi ad Agincourt...bè.. posso solo formulare delle ipotesi. Il tempo piovoso inzuppava le corde e le rendeva più pesanti. Nel caso di uno scontro ravvicinato non avrebbe avuto grossa importanza, ma dovendo scagliare frecce a duecento metri, è plausibile che volessero averle resistenti ma anche non troppo appesantite. Sotto il bacinetto, a contatto con i capelli, conservavano senz'altro il loro grado di umidità, senza eccedere quel limite che avrebbe accorciato la gittata...


28/01/2012, 11:39
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il trattamento delle corde in lino o canapa con olio di lino per immersione o per sfregamento può essere alternativo all'inceratura?


28/01/2012, 16:38
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Ciao Bac,
usare l'olio di lino mi sa propio di no; è un olio che si usa anche per le vernici ed è siccativo nel senso che polimerizzando all'aria forma uno strato, un film sulla corda.
Però è una mia considerazione.
Raff


29/01/2012, 0:45
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Iscritto il: 29/01/2012, 0:05
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Ciao sono Sara, collaboro con vtr ed altri sulla sperimentazione delle corde in lino per archi.
Mi permetto di rispondere alla domanda di Bac con delle semplici considerazioni basate su deduzioni teoriche chimico-fisiche.
La sperimentazione in atto (esposta nel prossimo numero di Tiro con l’Arco Tradizionale) sul filato di lino grezzo, parte dall’assunto che il filato aumenti notevolmente la sua resistenza se il contenuto di umidità si aggira intorno al 30 % ( bibliografia dei lavori di Taylor e Nagler).

Partiamo dalla struttura della fibra vegetale, in questo caso il lino:
La fibra del lino, in seguito alle svariate fasi di lavorazione che permettono il distacco della parte ‘legnosa’, può essere assimilata ad una struttura prevalentemente composta da cellulosa; possiamo ragionevolmente affermare che è costituita da cellulosa all’80%.
Ora, senza spingerci nel campo dettagliatamente chimico dei polimeri cerchiamo di semplificare all’estremo la struttura della cellulosa: la cellulosa è un polimero (dal greco poli meros- molte parti) in particolare un poli-saccaride cioè costituito da una sequenza, come anelli di una catena, di saccaridi (zuccheri) legati fra loro con legami specifici la cui posizione e sequenza spaziale ha un’importanza fondamentale sulla struttura macroscopica del polimero.
Tanto per darti un’idea l’amido e la cellulosa sono costituiti dallo stesso monomero base, il glucosio, (l’anello della catena per intenderci) ma esiste un’enorme macroscopica differenza fra i due ‘composti’.
La cellulosa è il risultato dell’unione di molecole di glucosio attraverso legami che si dirigono sullo stesso lato del piano (legami 1-4 beta) e fanno si che gli anelli siano collegati in modo ‘lineare’.
Ne risulta una struttura piana, costituita da filamenti molto lunghi e rettilinei che si impilano gli uni sugli altri quasi in modo cristallino, legandosi fra loro con legami elettrostatici molto forti fra atomi con diversa polarità.
In questo caso sono presenti legami a ponte di idrogeno fra l’ossigeno elettronegativo (polarità negativa) e gli idrogeni ‘liberi’ o 'acidi' degli anelli di glucosio (polarità positiva).
Nel caso dell’amido invece i legami fra le molecole di glucosio si alternano al di sopra e al di sotto del piano (legami 1-4 alfa) del polimero dando origine ad una struttura ad elica, che si attorciglia su se stessa instaurando i predetti legami a ponte di idrogeno all’interno di una stessa catena di polimero.

Spero di esser stata chiara fin ora, ti chiedo di seguire questo logico ragionamento ancora per poco...

Sappiamo tutti che l’acqua è il solvente polare per eccellenza, possiede in se potenzialmente la stessa tipologia di legame a ponte di idrogeno che si instaura all’interno delle microfibre di cellulosa.

Ed ora veniamo al dunque: perché una corda in fibra di lino, costituita da una miriade di fibre di cellulosa (polari) legate fra loro da ponti polari è più resistente alla trazione rispetto ad una corda anidra?

La risposta è semplice: l’acqua si lega alle microfibre in modo chimico-fisico sfruttando la sua polarità intrinseca.
Si potrebbe assumere come esempio pratico, che le molecole d’acqua, penetrando nella corda, fungono da collante (polare molecolare)! Simile scioglie simile e simile incolla simile!
Questa azione non avviene se al posto dell’acqua usiamo un liquido o una sostanza apolare quale olio di lino o cera.
Le sostanze apolari non fanno altro che isolare i fasci di fibre, diminuiscono per assurdo la resistenza ‘distaccandole’ fra loro.
Al limite utilizzando delle cere ad alto peso molecolare possiamo intrappolare il contenuto di acqua efficace all’interno della corda (evito di trattare in questa sede la questione del rendimento dinamico della corda...) oppure evitare il deterioramento della corda nei punti di frizione ma sconsiglierei vivamente l’uso di un’olio siccativo...come ben detto anche da Raf.

Un olio siccativo ad alto contenuto di acidi grassi insaturi e polinsaturi, tenderebbe a polimerizzare rapidamente in modo radicalico a contatto dell’ossigeno dell’aria formando un film rigido e duro che di certo non giova alla resistenza della fibre.

A questo punto è lecita la domanda...le corde giapponesi laccate sono altresì resistenti?
A mio avviso la guaina di seta ricoperta dalla laccatura fa la differenza: oltre ad irrobustire la corda senza appesantirla evitando dispersione di energia fa si che il film rigido della laccatura non penetri all’interno delle fibre di canapa...a differenza dell’imbibimento totale completo e profondo in un’olio di lino siccativo.

Mi scuso con i chimici che mi leggono per le evidenti banalizzazioni sull’argomento, per qualsiasi dubbio sono a disposizione!!

Sara I.


29/01/2012, 14:58
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Salve a tutti,
Ciao Sara, permettimi di complimentarmi per la tua esaurientissima spiegazione e per aver saputo semplificare dei concetti di noiosa chimica rendendoli comprensibili a tutti.
Al contempo, mi hai instillato un dubbio: la mania di voler "imbibire" a tutti i costi l'arco con sostanze grasse inevitabilmente porterà all'insorgere degli stessi fenomeni, da te descritti, per le fibre a base cellulosica presenti anche nei legni, ragion per cui, deduco, sarebbe da preferire un'inceratura atta solo a trattenere nel legno la % di umidità ideale.
Semplicisticamente: le materie grasse non rendono più elastico il legno (cellulosa), ma, in fin dei conti, lo infragiliscono.
Grazie da Raff


29/01/2012, 15:37
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grazie,
condivido a pieno quanto detto sopra .

si potrebbe affermare quindi che asciutta è meglio per la leggerezza; andrebbero messi sul piatto della bilancia i vantaggi offerti dall'umidità e quelli offerti dal minor peso.

il sistema giapponese usa i criteri delle funi moderne dove la camicia esterna esplica un ruolo protettivo e l'anima si sobbarca lo sforzo di trazione.

per quanto riguarda l'olio di lino, vi risulta che le pezze che si usano per stenderlo se esposte al sole possono dare luogo a fenomeni di combustione spontanea?


29/01/2012, 17:15
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Ciao Sara , benvenuta a bordo.
Magari passa dalla sezione presentazioni per raccontare qualcosa di te anche a quelli che non hanno avuto il piacere di conoscerti in "real life"
^__^
Poi ho una domanda da farti in merito al lino , quello che hai esposto non fa una grinza ma secondo te si può applicare anche ai filati industriali in cui le fibre sono state massacrate dai trattamenti , appunto , industriali o e' limitato alle fibre grezze ?
Sai anch'io ho fatto qualche ( piccola ) sperimentazione e su filati commerciali diversi , anche se con caratteristiche di etichetta uguali ho trovato differenze sostanziali , dipenderà dalla lunglezza delle singole fibre ?
Poi cosa ne pensi dell'utilizzo di aggiungere quelli che genericamente potremmo chiamare "adesivi" alle sostanze usate per il trattamento delle corde ?
Sto pensando alle resine usate per le corde degli yumi o sul presunto utilizzo di colla animale nel trattamento delle corde durante il periodo in cui venivano prodotte nelle Fiandre .
Personalmente ho provato ad aggiungere colofonia ( fino ad 1/3 ) alla cera che uso per le corde e , sul singolo filo ho riscontrato notevoli aumenti del carico di rottura
( per carichi progressivi non a strappo e con medie ponderate su 10 prove )


29/01/2012, 21:34
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Salve a tutti,
Ciao jeval, in attesa dei chiarimenti ai tuoi quesiti, mi permetto di avanzare delle risposte, senza per altro voler togliere il campo alla gentilissima Sara.
La bassa e mutevole resistenza dei filati moderni, sia lino che canapa o altro, in confronto a filati di anni fa, può essere addebitata a diversi procedimenti di ottenimento delle fibre stesse.
Fino a trenta quarant'anni fa le fibre venivano ottenute da piante lasciate seccare sul campo e processate con sistemi tradizionali che si erano affinati, ma mantenuti pressocchè uguali, nel corso dei secoli.
La forte richiesta e l'esigenza concorrenziale, mirata ad ottenere fibre a basso costo, hanno aperto la strada a procedimenti industriali coadiuvati dall'ausilio di sostanze chimiche ed enzimi. Questi sistemi aumentano sì la produzione, diminuiscono anche il numero delle maestranze, ma a scapito della qualità del prodotto, ed allora ci troviamo filati che pur avendo la stessa sezione ci danno valori di carico di rottura ben diversi fra di loro.
Le resine, applicate sulle corde, non hanno il potere di imbibire le fibre, ma hanno la particolarità di rivestire a mò di guaina la corda compattandola, al contrario dei grassi od olii, sia animali che vegetali, che vanno ad occupare gli spazi fra fibra e fibra. Però aumentano anche il peso della stessa
Raff


30/01/2012, 14:28
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Iscritto il: 17/11/2010, 22:28
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Io non ho dimostrazioni/ sperimentazioni su quello che espongoio ma credo che sul piatto della bilancia pesi molto di piu' la frizione tra i singoli capi che altro...
la ceratura dei singoli trefoli non può che far bene alla corda in quanto la frizione diminuisce e le fibre non vengono bruciate dal microsfregamento...


31/01/2012, 1:03
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