Oliviero
Iscritto il: 12/06/2016, 8:06 Messaggi: 534 Località: Milano
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Ho avuto modo di leggere la tesi di Matt, scaricata da Academia.edu. Lavoro molto interessante, che rileggerò con più attenzione, che tratta dell'annoso problema della didattica nell'arceria. Volevo dare un'opinione a caldo.
Concordo con la maggior parte delle cose che sono dette e sottolineo fortemente che il centro della didattica, soprattutto se finalizzata al nostro tipo di tiro, va incentrata sull'arciere. Solo dall'arciere può emergere il suo modo di tirare. Voglio portarla anche un pochettino più in là. Non è nemmeno così fondamentale che alla fine emergano dei capisaldi (come la T perfetta). Talvolta non è possibile farla emergere, perché l'allievo è portatore di qualche handicap o semplicemente perché ha un diverso equilibrio strutturale morfologico. Ciò che deve emergere è il principio e la soluzione psicofisica che l'arciere impiega, seguendo quello che noi fisici chiamiamo principio di minima azione (massimo risultato - minimo sforzo). Come dice Ascham, la bellezza del gesto atletico segue per conseguenza.
Proprio per questo vorrei sottolineare che, secondo me, il giudizio sul metodo tradizionale è forse un po' affrettato. La proposizione di un modello NON è necessariamente propedeutica all'insegnamento di un gesto atletico. Esistono intere didattiche, quelle orientali ad esempio, che sono basate sull'infinita ripetizione di una modello. Non è il modello la cosa che deve essere applicata da un punto di vista atletico. Tante volte il modello è palesemente inapplicabile. La "forma" è propedeutica alla generazione di un sentimento-emozione/gesto_atletico che essa deve generare all'interno dell'allievo. Il suo scopo stabilito è quello di comprendere e assimilare un principio applicativo in esso nascosto. E, proprio attraverso la costruzione personale, non è dato sapere come e quando l'allievo si impadronirà di quel principio. Spesso ci vogliono anni.
Generalmente, dopo che l'insegnante ha visto il principio non solo compreso (mentalmente) ma padroneggiato (psicofisicamente), la forma viene abbandonata e ci si concentra sul successivo elemento da apprendere. Ad es., le esercitazioni formali dei militari non servono ad insegnare a marciare tutti in bella riga e all'unisono (cosa utile solo una volta all'anno, il 4 novembre). Servono soprattutto a tirare fuori dal militare e dal gruppo l'energia e la tecnica che serviranno quando sarà necessario utilizzare una serie di marce forzate per raggiungere un obiettivo in zona dove non è possibile procedere con mezzi meccanici di trasporto. Quindi non è completamente esatto dire che il metodo tradizionale non ha compreso questi concetti. Vero è invece che tante volte i metodi tradizionali vengono applicati in modo non corretto da insegnanti che non li hanno ben compresi e che tendono a creare cloni di sè stessi, indipendentemente dall'individuo che si trovano d'innanzi. Ma non è opportuno buttare via il bambino (il metodo) con l'acqua sporca (chi non ha capito come insegnarlo). Va poi detto che a furia di aggiungere gocce d'acqua pulita, con l'esperienza dell'insegnante, anche quella che all'inizio era acqua sporca, spesso diventa limpida.
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