Salve a tutti,
Sara I. ha scritto:
Carissimo Raff, ci sono!!Sta sgelando, son tornata!
Comunque, tornando a noi, anche se non ho partecipato alla discussione vi ho seguito ed ho notato con interesse i tuoi interventi esaustivi sull'argomento!
Ciao carissima,
Troppo buona, e per dirla alla Fantozzi: com'è umana lei!!!
, mi fai arrossire!
Sara I. ha scritto:
Stiamo interagendo a proposito della 'soluzione migliore...se esiste' sulla base di dati e documentazioni 'virtuali', sono io la prima ad attingere dalla bibliografia ricca in rete e su testi specifici ma ripeto, va fatta della dovuta sperimentazione e ci stiamo lavorando sodo sopra!
Come puoi ben immaginare e constatare le variabili presenti sono molteplici, a mio avviso la grande enorme differenza sta nel tipo di filato usato: metologia di estrazione, lavorazione artigianale o commerciale, ritorsione delle fibre del singolo filo e...da non tralasciare la mercerizzazione...punto cruciale e dolente!
Di uso comune nei filati commerciali, la mercerizzazione migliora le caratteristiche chimico fisiche del filato, parliamo soprattutto del cotone (fibra da seme) ben diversa dal lino (fibra da stelo)!
Il lino è una fibra cellulosica di composizione simile al cotone, con la differenza delle impurezze, soprattutto per quanto riguarda la presenza delle peptine e della lignina.
Il lino è più sensibile del cotone alle sostanze alcaline, anche se per eliminare le sostanze estranee al lino, si ricorre regolarmente all’uso di alcali quali soda caustica e carbonato sodico. La concentrazione di alcali dei bagni e la ripetizione del trattamento determinano la velocità di eliminazione delle impurezze.
Hai toccato un tasto dolente per noi arcieri: le fibre estratte attualmente devono soddisfare una “clientela” che dipende dalla moda e dalla volubilità del cliente finale che vuole sempre più prodotti, fibre, filati, tessuti, imbottiture, ben diversi da quelli che le piante ci offrono naturalmente e questo va sicuramente a discapito delle sue caratteristiche meccaniche da noi ricercate. Sì, certo, il metodo della mercerizzazione rende più facili alcune operazioni: coloritura, facilità di stiro, brillantezza; migliora la resistenza delle fibre alle sollecitazioni degli usi moderni:lavaggi ripetuti, stropicciamenti, azione del sole, sgualciture; tutte caratteristiche che tu hai ben specificate ma, anch'io, nel mio piccolo, dubito fortemente che il carico di rottura rimanga invariato. Una modificazione strutturale delle fibre cellulosiche c'è, aggiungo: non si trovano facilmente dati riferiti specificamente a fibre mercerizzate.
Oltretutto ribadirei, ma sembra che già l'abbiamo detto, che le caratteristiche delle fibre dipende anche dal luogo di produzione: ad esempio era famoso per la sua resistenza, tempo addietro, il lino proveniente dalle fiandre o dal nord della Francia ed oltre che famoso costava anche di più rispetto ad un lino spagnolo o tedesco per non dire italiano.
Vorrei aggiungere, divagando, che con l'avvento della mercerizzazione moderna si producono tessuti di canapa così fini che vengono spacciate per lino; essa non fa altro che, in parte, riprodurre quel risultato che ottenevano le nostre nonne coi ripetuti ed assidui lavaggi della loro epoca con acqua bollente e liscivia che rendeva le fibre sempre più lucenti, fresche e soffici.
Perdonami, ho divagato anche se in termini semplicistici per rendere il significato comprensibile a tutti del mio punto di vista.
Ma tornando al tuo interrogativo:
Sara I. ha scritto:
...........Il processo di mercerizzazione del lino atto ad eliminare le 'impurità' estraneee alla cellulosa migliora la tenacia ed il carico di rottura della corda costruita con un filato commerciale?
Oppure quella proveniente da un filato artigianale non sottoposto a trattamenti chimici di mercerizzazione e sbiancatura ossidante risulta più tenace?..........
Anche per me è no. Un filato artigianale ottenuto con fibre lunghe di prima qualità, uniforme ed alla giusta torsione sarà più resistente di un altro ottenuto con fibre che sono state alterate chimicamente per altri scopi.
Alla luce di tutto questo varrebbe la pena tentare di auto costruirsi, magari solo per prova, una corda filando da soli il lino in fiocco.
La fibra ideale e tradizionale, per corde d'arco, allo stadio delle esigenze degli arcieri di oggidì, dovrebbe avere queste caratteristiche:
1°-
non dovrebbe essere sensibile all'umidità. Tutte subiscono l'azione dell'umidità sia le vegetali, sia quelle di origine animale chiaramente in modi ed effetti diversi. Si ovvia con ceratura, impeciatura o ingrassaggio.
2°-
non allungarsi in trazione. Anche questa caratteristica è deludente, quelle che subiscono il minor allungamento sono quelle in lino e presumo anche il tendine.
3°-
resistere senza rompersi alla trazione dell'arco potente. A questo si ovvia con l'aumento della sezione totale della corda. Le cocche delle antiche frecce possono essere indicatrici della potenza dell'arco a patto di conoscere il materiale usato per ricavare la corda.
4°-
essere sottile. Dipende dalla fibra usata e dalla potenza dell'arco. La canapa, il lino e la seta permetto di costruire corde discretamente sottili rispetto alla potenza dell'arco.
5°-
leggera. Le più leggere erano e sono tutt'ora in lino, canapa e seta, sempre parlando di fibre organiche.
6°-
duratura nel tempo. Questo è un tasto dolente che a sua volta dipende da moltissimi fattori: tipo di finitura delle nocche usate, la loro angolazione, potenza dell'arco, tipo di fibre usate, la tipologia di lavorazione, l'umidità ambientale presente, tipo e natura di materiali aggiunti come grassi, pece o cera, ed aggiungo anche il tipo di cocca usata per la freccia.
Però, allo stato attuale dei ritrovamenti di corde d'archi antiche, cosa sappiamo dei trattamenti eventuali a cui erano state sottoposte? Ammesso che in antico si curassero maniacalmente del “brace” con si usa oggigiorno.
Apro una parentesi: le cere e i grassi hanno sostanzialmente la stessa formulazione molecolare, i grassi principalmente, irrancidendo alterano il PH (acidità o alcalinità) e possono trasformarsi, penetrando a fondo tra le fibre, in un ottimo terreno di cultura per batteri che accelerano i processi degenerativi della cellulosa; questo in aggiunta ai fenomeni da te citati. Le cere, che in un primo tempo fungevano da isolante nei confronti dell'acqua, anche loro subiscono il degrado da parte di agenti esterni quali la luce del sole, l'acqua stessa, il calore, tendendo a saponificare diventando ricettacolo di batteri.
Tra parentesi, avendo avuto un passato professionale nella produzione del biogas da rifiuti organici, ogni qual volta mi portavano le fecce di cere ed i residui degli alveari mi fregavo le mani perché significava aumentare la produzione del biogas, e di molto. Tradotto in parole povere le cere, ma anche i grassi sono nutrimento, ad alto rendimento di gas, nei confronti dei batteri presenti nel digestore. Attenzione, quei batteri sono presenti naturalmente anche nel nostro ambiente di vita quotidiano!
Ma non debbono preoccuparsi di questi fenomeni coloro che tirano 100-200 frecce alla settimana, la corda si romperà per sua usura fisica e non per colpa dell'effetto di degrado dovuto alla cera o ai grassi, che rappresentano un fenomeno sempre nocivo ma lento nel tempo.
Esaminiamo la necessità di dotare l'arco di una corda, in antico. Personalmente intenderei per antico il periodo antecedente all'affermazione massiccia dell'arco a scopo di guerra, in cui il suo uso era pianificato ed esaltato con tattiche militari appositamente studiate. Quel periodo in cui l'arco dava la possibilità al possessore di risolvere la sussistenza del suo gruppo familiare ed eventualmente di difendersi dalle eventuali scorrerie dei vicini, non sempre pacifici.
Ma anche riferendosi a quel periodo il pensiero va subito alle fibre di lino.... ma l'arco è stato inventato prima della conoscenza di questa fibra che, ovvero, esisteva già come pianta, ma non se ne conoscevano ancora le proprietà e soprattutto era confinata in un areale ristretto, al pari della canapa; insomma in Europa non era conosciuta. Conoscevano ed impiegavano sicuramente altre fibre, sicuramente con caratteristiche inferiori, ma sicuramente atte ad essere impiegate sugli archi per le loro caratteristiche di tenuta e resistenza: strisce di pelle ritorte, tendini, budello animale, radici, fibre da corteccia di quercia, tiglio, betulle, salice, erbe quali le ortiche, ecc.
Lo so che molti storceranno il naso ma cerchiamo di essere consci della realtà della regione geografica: quali materiali offriva l'areale in cui si viveva e cosa succedeva ad impiegare corde di derivazioni animali in zone umide, boscose e paludose, anche se fredde, o in riva al mare?
E' chiaro a tutti che in questi frangenti, in poco tempo, l'uomo arciere ha risolto la situazione rivolgendosi alla fibra che più si addiceva alla costruzione di una corda consona all'habitat in cui doveva operare, ed ecco le distinzioni: nelle aride steppe dell'Asia ci sarà il trionfo del tendine e budello animale, nell'Europa fresca e rigogliosa di vegetazione, sottoposta ai venti dell'atlantico apportatori di pioggia, trionferanno le fibre vegetali... ma il lino verrà dopo.
Ma questo ha avuto riflessi anche sulla tipologia di archi: legno, corno e tendine per il composito asiatico, solo legno per gli archi europei.
Che ne dici Sara? E' tutta colpa delle ciliege sotto grappa che sto gustando?
Grazie del link Bac, qui un documento con sole immagini:
http://www.mtsn.tn.it/perlascuola/docum ... a_filo.pdf ma sempre di reperti storici.
Raff