Zibaldone di Arcieria Longobarda
I Longobardi erano una tribù germanica originaria della Scandinavia (Scania) che imperversò in tutta Europa a partire dal II fino alVI secolo. Dopo un periodo attorno al V secolo nel quale si insediarono in Pannonia (Ungheria), consolidando le loro strutture politiche e sociali, si insediarono infine in Italia nel 568AD, sotto la guida di Re Alboino e dando così origine ad un regno indipendente. Il Regno Longobardo d’Italia cessò di esistere come organismo indipendente nel 774 dopo che i Longobardi furono sconfitti dall’esercito Franco di Carlomagno. La sconfitta dei Longobardi ispirò Alessandro Manzoni nella scrittura della tragedia “Adelchi”.
Le strutture sociali dei Longobardi erano basate su di un’aristocrazia gerarchica militare al cui commando stava un re-guerriero, a seguire duchi, conti (arimanni) e uomini liberi (aldii). La popolazione era suddiviso in tribù (farie) che consistevano in gruppi di famiglie con funzioni militari e che garantivano la consistenza e coesione del popolo, soprattutto durante le fasi di emigrazione verso nuove aree geografiche.
I Longobardi furono una delle prime (se non la prima in assoluto) tribù germaniche a mettere per iscritto le loro leggi, dando origine al Diritto Longobardo destinato a durare in Italia per secoli, nonostante la fine dello stesso Regno Longobardo. L’Editto di Autari risale al 643 ed è particolarmente interessante dal momento che, per esempio, cerca di limitare la pena capitale ed il diritto di “faida” (la possibilità garantita alla famiglia offesa di vendicare la morte o l’offesa di un suo componente). Quest’ultima fu sostituita da un rimborso in denaro (guidrigildo).
Nonostante ciò, si deve osservare che poco, se non nulla, ci è rimasto della lingua longobarda. Fu sicuramente una lingua germanica, appartenente al ramo orientale e similare al Gotico. In effetti l’editto di Autari fu scritto il latino come l’altro principale documento storico-letterario longobardo, la “Historia Langobardorum” (Storia dei Longobardi) scritta da Paolo Diacono. Sopravvivono in italiano dei prestiti dal longobardo: balcone (da *balko), banca (da *banka), graffiare (da *krapfo), ricco (da *rihhi), spanna (da *spanna), spranga (da *spranga), stormo (da *sturm), strale (da *stral). Sopravvivono inoltre dei nomi di persona e molti toponimi italiani denotano una chiara origine longobarda: il più evidente esempio è proprio il nome di una delle più importante regioni italiane: la Lombardia.
I Longobardi prendono il loro nome dall’uso di portare delle “lunghe barbe”, oppure per la loro preferenza nell’uso di “lunghe alabarde” in battaglia. La questione è tutt’ora oggetto di dibattito.
La storia di Lopichis, un arciere longobardo
Poche sono le tracce dell’uso dell’arco presso i Longobardi. La “Historia Langobardorum” sopra citata è la fonte principale di informazioni storiche per quanto concerne questa popolazione.
In questa cronaca, l’autore ci da conto di ciò che successe al suo bisnonno. L’antenato di Paolo Diacono fu preso prigioniero nel corso di un’incursione degli Avari. Riuscì però a liberarsi e di incamminarsi verso Cividale, città del nord-est italiano, in Friuli, uno dei più importanti centri del Regno Longobardo. Lopichis, questo il nome dell’antenato di Paolo Diacono,marciava verso l’Italia, portando con sé solo un po’ di cibo, arco e frecce e accompagnato da un lupo che lo aiutò a trovare la sua strada verso casa. Fino a che Lopichis, spinto dalla fame, cercò di colpire il lupo con una freccia: il lupo allora si allontanò per non fare più ritorno. Lopichis allora cadde a terra in sonno, o meglio, perdendo conoscenza. In sogno gli apparve un uomo che gli indicò la strada per tornare a casa. Lopichis infine riuscì a raggiungere casa sua, ma la ritrovò distrutta e abbandonata. Un albero era cresciuto in mezzo alle mura, segno che parecchi anni erano passati da quando era stato fatto prigioniero. Qui Lopichis appese il suo arco e le sue frecce, riconoscendo alla fine che ere finalmente tornato a casa sua.
Da notare il significato simbolico di appendere le proprie armi, in questo caso arco e frecce, per (ri-)stabilire il possesso dell’abitazione; le armi servivano così in una società prettamente militare per assicurarsi la possibilità di mantenere il possesso di abitazioni e terre.
L’arco nel braccio potente della legge Longobarda
E armi dovevano possedere i cittadini longobardi! E possibilmente essere capaci di maneggiarle in quanto i Longobardi furono quasi sempre in guerra nel corso della loro storia. E, per esempio, una legge fu emanata a tal proposito da Re Astolfo, nel 750AD circa, che dava istruzioni non solo ai ranghi elevati della popolazione, ma anche alle classi inferiori. Vediamo il comma 2 di questa legge: “Circa quegli uomini che possono avere una corazza e pure non ce l’hanno affatto, o quegli uomini minori che possono avere un cavallo, scudo e lancia e pure non li hanno affatto, oppure quegli uomini che non possono avere, né hanno, di che mettere assieme, [stabiliamo] che debbano avere scudo e faretra” [certamente piena di frecce ed accompagnata da un arco per poterle tirare!]. E ancora: “Così inoltre piace al principe circa gli uomini minori, che, se possono avere lo scudo, abbiano la faretra con le frecce e l’arco.”
Nel comma 3 della stessa legge, il concetto è ribadito: “Inoltre, circa quegli uomini che sono mercanti e che non hanno beni fondiari, quelli che sono maggiori e potenti abbiano corazza e cavalli, scudo e lancia; quelli che vengono dopo abbiano cavalli, scudo e lancia; quelli che sono minori abbiano faretre con le frecce e l’arco.” E’ importante notare allora che anche i mercanti venivano buoni in tempo di guerra, nonostante fossero generalmente tenuti in poco conto nella società germanica.
Da queste poche note è possibile farsi un’idea dell’esercito longobardo che consisteva principalmente in turme di cavalleria, rinforzate da una fanteria leggera che combatteva con archi e frecce. Così è pure possibile ipotizzare che la loro tattica fosse basata soprattutto sulla velocità, su azioni lampo e su una certa qual organizzazione.
Secondo gli studiosi più accreditati, l’arco longobardo era l’arma della fanteria, possibilmente accompagnato da un’ascia. Arco e faretra erano appesi alla cintura del guerriero. L’arco era costruito in legno, forse con una forma ricurva e con una parte centrale rinforzata (impugnatura/riser). Da ciò che si conosce, un solo esemplare è giunto fino a noi. Questo manufatto è costruito in ferro (il che spiega come sia potuto arrivare sino ai nostri tempi); si tratta di un arco ricurvo di 107cm di lunghezza. 1
Malgrado l’arco germanico fosse generalmente di tipo diritto, tipo long-bow, i Longobardi potrebbero avere imparato a costruire ed utilizzare archi ricurvi nel corso della loro permanenza in Pannonia. Qui tramite i frequenti contatti con le tribù delle steppe, gli Avari, gli Ungari, ecc. hanno potuto certamente sperimentare quanto un arco ricurvo potesse essere più facilmente utilizzabile per esempio tirando da cavallo.
Poche cose sono note circa l’arcieria longobarda, ma possiamo arguire che i loro archi fossero potenti e con libraggi particolarmente generosi. Gli storici annotano che Re Grimoaldo (662-671) morì per la rottura di una vena del collo. Tale rottura si dice sia stata provocata dallo sforzo necessario per tendere un arco, arco che si rivelò così troppo potente per il braccio del re.
Lo strano caso dello stemma del comune di Fiesco
Fiesco è un piccolo centro in provincia di Cremona, in Lombardia. Il nome di Fiesco sembra derivare dal latino flexus, che significa “curva, svolta”. Ed infatti il paese giace vicino ad un tornante sull’antica strada che collega Piacenza con Bergamo e Brescia. Così il nome della città è legato a qualcosa che si piega, proprio come un arco. E un arco è stato posto nella parte destra dello stemma municipale.2
Ma la presenza di un arco nello stemma può anche trovare le sue motivazione dal fatto che un oggetto simile ad un arco è stato ritrovato nel territorio comunale. L’oggetto fu ritrovato in dei sepolcri di origine longobarda ed anche altri oggetti contenuti in questi stessi sepolcri erano essi stessi di origine longobarda. “Nel medesimo campo, pare nel 1960, sono state scoperte tombe fatte con tegoloni in terracotta di fattura medioevale, delle quali si vedono ancora oggi [1974] grossi frammenti. All' interno delle tombe, secondo l'affermazione dello stesso sig. Biondi, sono stati recuperati due oggetti di interesse archeologico, portati a Milano e custoditi nei depositi della soprintendenza : un arco ed una spada.
L'arco, sempre secondo il sig. Biondi, era in ferro, con una apertura di 60 cm. Circa, munito di innesto centrale, con un anello ed un gancio alle due estremità per la tensione della corda, dalla forma di un semicerchio. Poteva essere un arco di balestra barbarica medioevale per lanciar sassi o frecce”. 3
Considerando le dimensioni, è difficile per qualsiasi arciere considerare questo oggetto come una sorta di arco di qualsivoglia tipo. Più probabilmente sembra trattarsi di un impugnatura di uno scudo o di qualche altro strumento. Pur tuttavia la somiglianza con un arco di balestra è forte, ma non ci sono prove a sufficienza per dirimere la questione.
L’arco rinvenuto si rivelò arrugginito. E in qualche modo arrugginite possono apparire anche le ragioni per cui un “arco longobardo” è ritratto nello stemma comunale di Fiesco. Nonostante tutto l’arco è lì e probabilmente lì rimarrà ancora a lungo.
Lo stemma municipale di Fiesco
1 Alberto Arecchi, I Mausolei dei Re Longobardi a Pavia, Mimesis Edizioni 2006
2 E’ appena il caso di ricordare che anche in inglese bow significa originariamente “qualcosa che si piega”, dal momento che deriva dal germanico *bheuga “curva”.
3 Informazioni tratte dal sito internet ufficiale del comune di Fiesco (
www.comune.fiesco.cr.it)