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 Filologia e filologicità 
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Iscritto il: 05/12/2010, 22:11
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Località: Cernusco s. Nav. (MI)
Non vorrei sembrare pedante, ma dato che qui è là su questo forum leggo di “filologia” e di “filologicità” e dato che di filologia mi sono occupato seriamente quando ero studente (Filologia Anglo-germanica è la mia materia di Laurea), vorrei fare un paio di considerazioni “en passant”.
Leggo spesso dei riferimenti alla “filologicità” di una caratteristica di un arco, di una freccia o di un accessorio e, a detta dei più, la filologicità si ha se e solo se qualcosa trova attestazioni documentali in scritti, iconografie, ecc.
In filologia è invece in parte vero il contrario. In origine il filologo, purtroppo per lui, doveva intervenire sui testi laddove questi erano lacunosi o corrotti, quindi laddove le parole mancavano o erano scritte male, per farla molto semplice.
Il filologo, il glottologo e lo studioso di storia delle lingue (in pratica un associazione a delinquere!) hanno basato le loro attività su delle ricostruzioni “a tavolino” di evoluzioni linguistiche di lingue antiche e proto-lingue non attestate da nessuna parte. Per esempio non è attestato da nessuna parte il Germanico Comune che ha dato origine a tutte le lingue germaniche (es. Longobardo, Gotico, Alto e Basso Tedesco Antico, Norreno, per passare ai moderni Tedesco, Inglese, Olandese, Svedese, Islandese, Norvegese ecc.). Allo stesso modo non è attestato il celeberrimo Indo-europeo che ha dato origine a tutte le lingue appunto indoeuropee, tra cui, Germanico (vedi sopra), Celtico (o lingue Celtiche), Latino, Greco, Lingue Balto-Slave, ecc. Né per esempio è attestato (a parte pochissimi frammenti) il Longobardo che tanti prestiti e tante tracce ha lasciato in Italia, nei toponimi, nei nostri dialetti e nell’italiano stesso.
Quindi è tutto un lavoro di “fantasia”, non ci sono prove? Si direbbe di sì. Le prove, le attestazioni che potremmo sciorinare in un tribunale per dimostrare effettivamente certi aspetti della storia e della ricostruzione linguistica non esistono.
Ma allora come fare per considerare valide le ipotesi formulate dai filologi, dai glottologi e dai linguisti? Non è che si sono inventati tutto per mantenersi un “cadreghino” in una facoltà universitaria o per infierire su generazioni di studenti di lingue straniere?
La risposta ci viene da uno dei primi filologi della storia, Ferdinand De Saussure con il concetto di “Tout se tient” “Tutto si mantiene, tutto è in coerenza”. Le evoluzioni linguistiche, le forme grammaticali e le parole ricostruite ecc. (elementi sempre marcati convenzionalmente con un asterisco *- all’inizio) devono formare un sistema coerente all’interno e all’esterno. Proprio questa coerenza, questa “probabilità inerente” diventa la prova logica che la ricostruzione è corretta, verosimile e attendibile, anche in assenza di elementi di prova “concreta” e documentale. Il sistema ricostruito deve portare senza troppi problemi alle forme attestate storicamente nei documenti e, per esempio, le etimologie devono essere in coerenza in sistemi linguistici affini e non stridere con le evoluzioni sociali storicamente attestate.
Questo metodo di ricostruzione basato su ipotesi plausibili e coerenti anche se non fattivamente provate ha dato buoni frutti anche in altri ambiti storici. Vorrei ricordare per esempio il lavoro del Tenente Colonnello Alfred Burne che, per la ricostruzione dei siti e degli svolgimenti di antiche battaglie inglesi del passato, espresse il concetto di “Probabilità Militare Inerente”. Sebbene per certi aspetti di queste battaglie non si abbiano prove circa il luogo dove esse siano avvenute o come si siano svolte, dal punto di vista militare e tenendo in considerazione aspetti tattico-strategici fondamentali, si arriva a delle supposizioni che possono essere ritenute assolutamente affidabili e che in seguito trovano dei precisi riscontri in altri ambiti di indagine storica.
Mi scuso con un chilo di cenere sul capo per la pedanteria, ma mi sembrava utile condividere questi concetti che possono magari trovare utilissimo impiego anche nel nostro ambito, tra una doga di tasso, un filato di canapa e una pezza di cuoio.


07/09/2012, 8:18
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Iscritto il: 27/07/2010, 9:00
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ciao Oddr, grazie per le interessantissime delucidazioni. in effetti da quando frequento l'ambiente della rievocazione storica "filologico" è una parola che ho sentito usare spessissimo.
il concetto nell'accettazione corretta del termine potrebbe essere esemplificato così restando nel nostro campo:
si può considerare ad esempio "filologico" un arco fatto di un materiale che sappiamo usato in un determinato periodo e con una forma che non differisca radicalmente da quelle riscontrabili nei reperti rinvenuti, pur non essendo la precisa riproduzione di un reperto.
come avevo esposto in altre discussioni, un arco con l'appoggio per la freccia non dovrebbe invece essere considerato "filologico" in quanto di un tale accorgimento non si ha traccia in nessuna cultura arcieristica dell'antichità e nemmeno in quelle tradizionali o chiamiamole "naturali" esistenti tutt'oggi. l'ipotesi che fossero esistiti archi con questa caratteristica, pur essendo possibile, risulterebbe estremamente improbabile quindi da non considerasi "filologici" appunto.

più o meno è così?
ciao!


07/09/2012, 8:58
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Iscritto il: 05/12/2010, 22:11
Messaggi: 96
Località: Cernusco s. Nav. (MI)
Io stavo riflettendo anche su un particolare che penso la maggioranza su questo forum considera una sorta di bestemmia: cioè il rivestimento in cuoio (o altri materiali “filologicamente” corretti) sull’impugnatura di un arco “storico”.
Lo so: io tiro con un longbow in tasso con l’impugnatura rivestita in cuoio e quindi sto solo cercando scuse “pro domo mea”. Però stavo riflettendo su alcune cose: prima tra tutte il fatto che, come Magin/Gionata ha scritto recentemente sulla rivista “Tiro con l’arco Tradizionale” e come (tristemente) noto a tutti i reperti di archi antichi ritrovati sono veramente pochi, in rapporto ad altre armi reperite (spade, punte di lancia, ecc) meglio conservate in quanto fatte di metallo. Quindi gli archi antichi scoperti nell’ambito europeo sono poche centinaia (includendo gli archi recuperati sulla Mary Rose). Anche le raffigurazioni pittoriche degli archi antichi europei sono relativamente poche: qualche centinaio?
Ma a questo punto mi chiedo: quanti archi (tipo “lungobastone” o altro) saranno girati per l’Europa nel corso dei secoli? Decine di migliaia? Centinaia di migliaia? Milioni?
Quanti arcieri li avranno imbracciati nel corso del tempo? Centinaia di migliaia? Milioni?
E nessuno di questi avrà avuto la necessità di ricoprire l’impugnatura de suo arco con del cuoio o altro materiale per evitare che il sudore delle mani potesse danneggiare il suo “strumento di lavoro” (caccia o guerra?). O magari anche solo per avere un migliore comfort di tiro… dopo tutto passavano giornate intere con l’arco in mano.
Penso che il cuoio si possa deteriorare ben più facilmente addirittura del legno, se non vado errato. Quindi non mi meraviglio del fatto che non ci siano tracce di questo “benefit” sugli archi ritrovati.
E forse il dettaglio di avere l’impugnatura ricoperta rimaneva nascosto (in quanto coperto dalla mano) agli occhi di un pittore che ritraeva le gesta degli arcieri – e voilà che si spiega perché gli archi dipinti negli affreschi, sugli arazzi o nelle miniature non riportano l’impugnatura dell’arco.
Ma perché un arciere “professionista” si sarebbe precluso questo “optional” semplice, poco costoso e che gli permetteva maggiora comfort e minori preoccupazioni di deteriorare il suo arco con le sue mani sudate? Forse usavano dei guanti? Non penso: un guanto sarebbe costato parecchio di più di una fettuccia di tessuto avvolta o di una pezza di cuoio… e l’arciere di solito apparteneva ad un ceto sociale “proletario”, mi si passi il termine! O forse bastava l’ingrassaggio dell’arco con cera o grasso animale?
L’impugnatura rivestita quindi mi sembra qualcosa che, sebbene non attestata, abbia una notevole probabilità intrinseca di essere esistita. Dopo tutto il rivestimento delle impugnature delle spade era pratica comunissima.
Secondo me, proprio in virtù della pochezza dei reperti nell’ambito arcieristico, dobbiamo fare un’estrema attenzione nel valutare il rateo di possibilità/probabilità di alcuni aspetti di archi e frecce. Ribadisco: sono considerazioni che, se vogliamo, si possono leggere “pro domo mea”, per farmi continuare ad usare un arco con l’impugnatura rivestita senza remore, ma forse la loro portata sborda un po’ da questa “excusatio”, a discrezione di chi legge. E non sfugga – vi prego - il tono interrogativo di tutto quanto sopra: mi sto facendo domande, cercando delle risposte plausibili (e opinabili, of course!).


07/09/2012, 10:28
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Iscritto il: 27/07/2010, 9:00
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ciao Oddr, è vero è possibile che qualcuno abbia utilizzato in passato su archi di legno una impugnatura di cuoio, a prescindere dal fatto che sia più o meno utile.
nel mio articolo mi rivolgevo esclusivamente alla rievocazione storica per cui se in nessun reperto europeo (che non sono pochissimi comunque) precedente la fine del Medioevo e in iconografie non se ne trova traccia penso che chi voglia rappresentare il più plausibilmente possibile un arciere antico ne debba tenere conto. anche osservando archi di popolazioni africane, sudamericane, asiatiche ecc ecc archi semplici di legno non vengono rivestiti all'impugnatura per quel che ne so ( e comunque anche se ce ne fossero la stragrande maggioranza non lo è) e questi sono oggetti ancora numerosissimi e "vivi". perchè dunque se il mio intento è quello di "rievocare" e ricostruire il più verosimilmente possibile un arciere del passato e le sue armi dovrei aggiungere un qualcosa che non si sa se esisteva con certezza? non è forse più corretto, semplice ed onesto non farlo?
sull'utilità è un altro discorso. io sinceramente non ne ho mai avvertita la necessità, anzi preferisco sentire il legno vivo sotto la mano con la pelle a diretto contatto con l'arco.
a si per quanto riguarda le spade il discorso è totalmente diverso come anche per gli archi compositi. non tutte avevano l'impugnatura rivestita di cuoio, a volte vaniva lasciato il legno, in secoli recenti un sottile filo di ferro, in altre il cuoio serviva a tenere insieme le due guancette ecc ecc non si può generalizzare.
ciao!


07/09/2012, 10:45
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Iscritto il: 27/07/2010, 9:00
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credo che le immagini a volte valgano più di mille parole. quello che inserisco qui non è da intendersi in maniera provocatoria o sarcastica ma solo per cercare di trasmettere un informazione anche a livello visivo.
si ha notizia certa di rivestimenti su impugnature di archi di legno solo da un certo periodo in poi.

loro ne avevano bisogno. oltretutto i calli non gli si addicono ...


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07/09/2012, 13:11
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Iscritto il: 27/07/2010, 9:00
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anche a lui


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07/09/2012, 13:12
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Iscritto il: 27/07/2010, 9:00
Messaggi: 2594
loro proprio non ne avevano o hanno bisogno ... proprio no .... e così via ... ciao!


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07/09/2012, 13:17
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Iscritto il: 08/11/2010, 12:48
Messaggi: 58
Buongiorno Oddr e Maghin,

puo essere d'aiuto constatare che gli attrezzi, dal martello alla pala in uso anche oggi, con manico in legno non sono rivestiti e che
quindi mancherebbe in parte il concetto di "unità d'insieme" ?

Confesso che quando uso il termine "filologicità" dovrei più precisamente esprimermi con: "mi piacerebbe riprodurre un'oggetto che
possa assomigliare ad uno realizzato nel tal periodo", mancando di basi storiche e tecniche.

Federico


07/09/2012, 13:38
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L'unico che ho fatto... scivola alla grande sull'arco ingrassato ;)
Peò può essere utile a chi comincia per "azzeccare" il centro dell'arco...

Quante info abbiamo sulle "scuole di tiro" per archi lunghi?

(Per i compositi e' differente)

Ciao
Luca


07/09/2012, 13:42
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Località: Genova - Prata Veituriorum
eh si... buona Federico...

Luca


07/09/2012, 13:43
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